16 maggio 2014

AREA 51: "LA MIA ESPERIENZA OLTRE-CONFINE A CASA DEL DOTTOR MICHAEL WOLF

Il metal detector dell’aeroporto di Denver aveva appena allarmato gli addetti alla sicurezza. Il fibione della mia cintura, per l’ennesima volta durante il mio viaggio tra Italia e Stati Uniti, aveva fatto scattare la sirena delle apparecchiature di controllo. Ero in viaggio con Paola Harris verso Hartford, nel Connecticut, in visita a una delle personalità più enigmatiche del mondo ufologico della seconda metà degli anni ’90. Michael Wolf Kruvant. In pochi avevano avuto la possibilità di vederlo da vicino sino ad allora (era l’agosto 1997), cosa che non mutò anche dopo quella visita.

michael wolf240 May. 16 08.03
Il suo esilio dal mondo esterno, dovuto a diverse cause, una su tutte la malattia degenerativa al sangue che, a suo dire, aveva contratto nell’AREA 51, rimase tale fino alla sua morte nel settembre 2000. Wolf, in quegli anni, era il principale tra i cosiddetti “rivelatori”, il cui nome era seguito a quello del colonnello Philip J. Corso, da poco deceduto e anch’egli conosciuto personalmente in diverse occasioni in Italia e con il quale avevo passato diverso tempo in compagnia di Maurizio Baiata e Paola Harris. Ma, a differenza del forte colonnello, Michael Wolf non poteva muoversi dal suo piccolo appartamento nel Connecticut. Motivo per cui Paola Harris e il sottoscritto avevano deciso di fargli visita. Tanto più che ero stato il primo a parlarne in Italia in un articolo a lui dedicato pubblicato poco tempo prima su Notiziario UFO n.12 (maggio-giugno 1997) in cui venivano sottolineate, accanto alle informazioni “tecniche” anche le sue esperienze di contatto con una specifica razza aliena. Wolf dichiarava di possedere doti telepatiche che il governo aveva impiegato nelle sue strutture segrete per “conversare” con esseri alieni. Quanto bastava per decidere di verificare di persona.
Il volo fu tranquillo, io e Paola giungemmo ad Hartford in tarda mattinata e senza sosta, in taxi, raggiungemmo l’area residenziale dove viveva Wolf. Non era certamente una zona da ricchi, quanto un quartierone popolare con palazzoni dormitorio dove ogni abitazione era dotata di un piccolo ingresso-soggiorno, una camera da letto, bagno e cucinotto. Così era anche la casa di Michael, giusta per una persona che vive sola, ma troppo piccola per una mente come la sua. Ce ne siamo accorti una volta entrati. Quell’uomo dai nobili lineamenti, capelli brizzolati e curati, pelle chiarissima, occhi di un blu innaturale e dalle pupille particolarmente grandi, vestito di un pigiama azzurro più simile a una divisa da laboratorio che a un abbigliamento da appartamento, ci aveva aperto la porta sorridente e ci aveva fatto accomodare nella sua dimora, piccola sì, ma in cui erano in vista apparecchiature varie, oscilloscopi, un computer, una scrivania e mobili pieni di carte e appunti. Soprattutto le sue lauree, che spiccavano incorniciate in verticale lungo una parete, oltre a un archivio di documentazione ufologica che, poco dopo i convenevoli di rito e aver preso sufficiente confidenza e fiducia, ci aveva permesso di spulciare, ma non di fotografare.
michael wolf241 May. 16 08.04
da sinistra: Michael Wolf, Paola Harris e Adriano Forgione
«Così sapete davvero chi sono e che non sono un menzognero» disse. In effetti, lettere che presentavano il suo nome accanto alla sigla del National Security Council (Consiglio di Sicurezza Nazionale) ci confermavano che fosse un insider, coinvolto nella questione UFO in prima persona. Telepatia e Alieni Dopo un paio d’ore passate a dialogare di tutto ciò che era la questione aliena avevo improvvisamente sonno, non mi ero ancora ripreso dal jet lag del mio viaggio Italia-USA, oltre ad aver subito una levataccia quella mattina per il volo Denver-Hartford, così chiesi di poter riposare un po’.
Michael la prese bene, la sua debolezza richiedeva una piccola siesta pomeridiana, così mi appisolai sul divano, lui decise di stendersi nella sua stanza da letto mentre Paola continuava a guardarsi gli appunti e i documenti del suo archivio. Nei sogni di quell’ora di riposo avevo visto una ragazza che da poco mi aveva lasciato e di cui ero ancora innamorato. Quel viaggio in America mi serviva anche per dimenticare e ricominciare. Ricordo che una volta riaperti gli occhi Paola mi guardò sorpresa: «Oh my God!» esclamò, come se avesse visto un alieno, «vi siete svegliati nello stesso momento!!!». Non capivo la sorpresa di Paola, può capitare di svegliarsi in contemporanea da un sonnellino, sebbene fossimo in due stanze separate, ma Michael una volta davanti a me, mi dice «Tu devi smettere di pensare a quella ragazza, guarda avanti, non è lei il tuo destino».
Ora sì che ero sorpreso, come sapeva che in testa avevo una ragazza per la quale stavo soffrendo da un po’? Non gliene avevo parlato quella mattina, non si vedeva dal mio atteggiamento, dato che ero intento ad approfondire le sue esperienze e Paola, che sapeva, se ne era guardata dal parlargliene ovviamente. Michael iniziava a sorprendermi oltre la questione ufologica, le sue doti telepatiche, che stando a quanto lui stesso affermato, venivano fuori quando i suoi “amici” alieni lo contattavano, sebbene non esprimibili in un contesto umano normale, sembravano avere una base solida, quasi come se avesse percepito i miei sogni durante il suo riposo. Così iniziammo a discuterne approfondendo la questione relativa al suo amico “grigio”, Kolta, a quanto questo tipo di alieno, tutta la sua razza, avesse delle doti particolari, il suo colore della pelle, il loro modo di esprimere suoni, la loro telepatia, gli scopi e quant’altro fosse di interesse.
michael wolf242 May. 16 08.04
Michael Wolf
Avevamo deciso di restare da Michael due giorni e il primo stava oramai volgendo al termine, così io e Paola ci congedammo per tornare in albergo, dove avevamo una stanza prenotata. Michael ci aprì la porta e ci salutò con il suo viso sorridente. Iniziammo a incamminarci nel lungo corridoio che portava all’ascensore, sentendo gli scatti della serratura della porta dietro di noi, che Michael stava chiudendo per la notte, quando all’improvviso fummo circondati da uno strano suono, un rumore forte che sembrava provenire da una fonte esterna indefinibile che sembrava interessare tutto l’edificio. Guardo Paola e le dico: «sembra un branco di delfini» e nessun altro paragone poteva esser più calzante perché era proprio come essere circondati da un numero indefinito di delfini che emettevano il loro caratteristico suono. Quando vediamo uscire dall’ascensore una donna di colore, che sembrava del tutto ignara di quanto stava accadendo, e dopo aver realizzato che sebbene una volta entrati nell’ascensore per scendere a livello strada, a porte chiuse, il suono dei delfini non si affievoliva, abbiamo capito che la cosa non era per nulla normale. A quel punto, ancora dentro l’ascensore, portai le dita alle orecchie per tapparle e lì mi resi conto che i “delfini” non provenivano dall’esterno bensì li avevo nella testa, o meglio, li avevamo nella testa, entrambi.
È stato in quel momento che ho ricordato le parole di Michael dette solo qualche ora prima: «la razza cui appariene Kolta si esprime con suoni che ricordano i delfini». Stavamo avendo un’esperienza di contatto telepatico con questi esseri? Prima di poter realizzare tutto ciò, le porte dell’ascensore si aprirono al piano terra e il fenomeno sparì. Con Paola prendemmo un taxi per andare in albergo, alternando riflessioni e silenzi. Michael ci aveva lasciato sgomenti. Ancora oggi mi chiedo perché non siamo ritornati a bussare alla sua porta immediatamente dopo aver vissuto quell’esperienza, oggi come oggi lo farei e lo farebbe chiunque in uno stato normale di coscienza, ma ho come l’impressione che fossimo parzialmente sotto stato ipnotico, come se ciò che stavamo facendo non fosse completamente sotto il nostro controllo. Il globo di luce nella stanza La notte veniva al momento giusto. Eravamo esausti. La camera d’albergo era ariosa e dotata di due letti separati da un grande spazio centrale, con un lume da pavimento alla mia sinistra.
Chiusi la luce, gli occhi e persi conoscenza entrando nel mondo di Morfeo, fin quando nel pieno del sonno, ancora una volta, qualcosa si introdusse nella mia testa. Una voce femminile, ma dal timbro metallico che mi parlava in inglese (cosa che ancora fatico a capire, dato che sono italiano) ripetendo come un mantra la frase “you are soul”, cioè “tu sei anima”. Dall’incoscienza del sogno pian piano mi resi conto che non stavo sognando, la voce era davvero nella mia testa, come i delfini di qualche ora prima. Aprii gli occhi e davanti al mio letto spiccava nel buio della stanza un globo luminoso di circa 30 cm, dal nucleo colore viola scuro e dal contorno, la sua parte più esterna, azzurra. Sembrava fluttuare davanti a me, immobile, con una constintenza plasmatica. All’improvviso la strana voce femminile si interruppe e contemporaneamente il globo sparì come una volta facevano i televisori a valvole, rimpicciolendosi istantaneamente fino a ridursi a un puntino luminoso che si dissose. A quel punto sentii Paola che dall’altro letto urlava ancora «Oh my God, è il colonnello, è venuto qui». Replicai agitatamente, «Paola, hai visto anche tu? Ma hai sentito qualcosa?» e lei mi rispose ancor più agitata «sì ho sentito la voce di un uomo ma non ho capito cosa mi dicesse, poi ho visto quella cosa. Era il colonnello». Lei che è una donna aveva sentito la voce di un uomo, io, un uomo, quella di una donna. Uno strano gioco di opposti. Non nascondo che fossi in uno stato di agitazione notevole, non è comune essere svegliati mentre sogni nel cuore della notte – erano le 3 del mattino in punto – e trovarsi un globo di luce a un metro, o poco più, dal proprio viso. Di certo non riuscivo a calmare Paola, che faceva continuo riferimento a un colonnello, in quanto era certa che in quel momento quel globo plasmatico fosse un’espressione energetica del colonnello Philip Corso, da poco scomparso, con il quale lei aveva un rapporto molto speciale.
michael wolf243 May. 16 08.04
Lasciammo il lume da terra acceso per il resto della notte, dormendo solo all’alba e fino a tarda mattinata, avendo passato un po’ di ore insonni nei nostri letti, come conseguenza della esperienza vissuta. Michael ci attendeva per le 10, ma alle 11 eravamo in albergo non ancora in grado di uscire. Il telefono della stanza squillò, mentre Paola era in fase di preparazione. Presi la cornetta e risposi “Yes?” convinto che fosse la reception dell’albergo, ma la voce dall’altra parte era quella calda di Michael Wolf che mi disse: “Siete ancora lì? Cosa è accaduto la scorsa notte alle 3?”. Diavolo di un Michael, mi lasciò senza fiato se non per dirgli: “cosa vuoi dire?”. La sua risposta collegò tutte le esperienze vissute dal giorno prima fino a quel momento: “Quando siete andati via ieri sera, chiusa la porta, Kolta e i suoi amici sono venuti da me.
Gli ho chiesto di farvi fare un’esperienza durante la notte”. Diamine Michael, un altro po’ mi facevi morire di infarto la Harris nell’altro letto e io per un po’ me la sono fatta addosso. Potevi avvisarci che ci saremmo preparati. “Stiamo arrivando” gli dissi e chiusi la comunicazione. Quelle voci di delfini nella testa, le voci di Kolta e dei suoi simili non potrò dimenticarle, così come quella luce viola-azzurra proprio come la pelle di un delfino. Michael aveva, con i fatti, dimostrato di essere un uomo speciale, di aver vissuto l’oltre, aldilà delle sue lauree e delle sue credenziali. Queste le lascio a chi non ha vissuto l’esperienza e cerca conferme. Io le mie le ho avute e le condivido con voi per la prima volta. Non sono un contattato, ma lui sì, lo era davvero e ha condiviso con me e Paola qualcosa di intimo, di speciale, di unico e irripetibile, qualcosa che per 5 miliardi di persone su questo pianeta è così assurdo da essere incredibile e impossibile. Non per l’uomo chiamato Michael Wolf. Prima di salutarlo per sempre l’ho abbracciato, sapevo che non lo avrei più rivisto, ma il suo dono sarebbe rimasto con me, sempre. A proposito di doni, mi ha consegnato alcuni frammenti di silicio che, mi ha detto, gli erano stati dati da Kolta, appartenenti a un UFO crash. Li ho posti in un contenitore per pellicole fotografiche e tenuti in tasca durante il mio ritorno in Italia, per farli analizzare. Con quei frammenti i metal detector di Denver e quello di Parigi, dove ho fatto scalo, non hanno rilevato metalli, non hanno suonato, nonostante portassi il solito cinturone, lo stesso che aveva fatto scattare l’allarme dell’apparecchiatura proprio a Denver per andare da Michael: un segno, anche quello.
A cura di Adriano Forgione
Per gentile concessione di Alberto Forgione ( X -Publishing S.r.l.)
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1 commento:

Anonimo ha detto...

Segnalo che è uscito il libro di Peter Reich, figlio di Wilhelm Reich, nel quale rivela che gli Ufo contro il quale il padre sparava negli anni Cinquanta con un 'cannone spaziale', erano in realtà aerei spia U2 in volo di collaudo dalla cosiddetta Area 51. Il libro sarà presentato il 29 maggio alle 18.00 presso la libreria Koob di Roma e sarà proiettato un filmato nel quale l'Autore esplicita la sua clamorosa rivelazione.

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